null Corte costituzionale: una legge per riconoscere i figli di gay e lesbiche, la stepchild adoption non basta

Corte costituzionale: una legge per riconoscere i figli di gay e lesbiche, la stepchild adoption non basta

News

09 marzo 2021

Un passo netto verso il riconoscimento dei figli delle coppie lesbiche e gay, sia quelli nati in Italia dalle coppie di donne grazie alla fecondazione eterologa, sia i bambini figli di due uomini nati all’estero grazie a maternità surrogata. È quello chiesto da due diverse sentenze della Corte costituzionale emesse il 28 gennaio e di cui ieri sono state pubblicate le motivazioni. In entrambi i casi i giudici hanno dichiarato inammissibili le questioni loro rivolte, ma hanno dato anche indicazioni chiare sulla necessità di tutelare i diritti dei bimbi nati dalle coppie dello stesso sesso che tuttora l’Italia — uno dei pochi Paesi in Europa — non riconosce. In particolare la Consulta afferma che la cosiddetta stepchild adotpion non basta come riconoscimento perché è troppo debole. Si tratta della misura tolta dalla legge Cirinnà sulle unioni civili perché considerata troppo divisiva dalla politica: i giudici costituzionali spiegano con estrema chiarezza che invece era troppo debole. E che serve un riconoscimento più forte, che renda i figli delle coppie dello stesso sesso uguali a tutti gli altri bambini, riconoscendo il loro diritto ad avere due genitori a pieno titolo.

Nel caso delle coppie di donne lesbiche che hanno figli in Italia, la Corte costituzionale ha mandato un vero e proprio avvertimento alla politica: il grave vuoto di tutela dell’interesse dei minori non sarà più tollerabile se si protrarrà «l’inerzia del legislatore». Nella sentenza n. 32 depositata oggi (redattrice Silvana Sciarra) la Corte ha affermato che spetta prioritariamente al legislatore individuare il «ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana», per fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore «alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise», evitando di generare disarmonie nel sistema, cioè evitando di creare bambini di serie A e bambini di serie B apre una nuova finestra . La sentenza si riferisce alla vicenda di Valentina, una donna di Padova patrocinata dal legale Alexander Schuster, che ha avuto due gemelle con la ex compagna (scriviamo solo i nomi propri o le iniziali delle persone intervistate per salvaguardare la riservatezza dei minori). Le due donne hanno deciso insieme di diventare madri con la fecondazione eterologa fatta all’estero, ma le bambine in Italia sono state riconosciute come figlie della sola partoriente. Quando quest’ultima, dopo aver lasciato Valentina, ha voluta farla sparire dalla vita delle bambine, ha potuto farlo senza problemi. Valentina si è allora rivolta al Tribunale di Padova per chiedere il riconoscimento legale del suo legame con le gemelle. E i giudici di Padova si erano rivolti alla Consulta denunciando il vuoto di tutela, poiché le norme citate non consentono ai nati da un progetto condiviso di fecondazione medicalmente assistita, praticata all’estero da due donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale, quando non vi siano le condizioni per procedere all’«adozione in casi particolari» (che necessita sempre del consenso del genitore legale).

I giudici costituzionali affermano che oggi «i nati a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi». Chiedono dunque alla politica di riconoscere la «genitorialità sociale», anche quando non coincide con quella biologica, poiché i legami biologici non sono un requisito imprescindibile della famiglia. E affermano che il parlamento «dovrà al più presto colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori. Si auspica una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da procreazione medicalmente assistita praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale». «La Consulta usa parole chiare e nette per certificare la discriminazione di cui sono vittima i figli nati dall’amore di due persone dello stesso sesso» commenta l’avvocato Schuster. «Vi è quindi un danno certo, riconosciuto dalla Corte, per le due figlie di mamma Vale. Ma nonostante questo, la Corte non tutela queste minori, limitandosi ad ammonire, pur in maniera assai severa e senza precedenti, il Parlamento» aggiunge a proposito del procedimento che riguarda nel concreto la sua assistita.

Nel caso di genitori gay che hanno avuto figli all’estero (cioè negli Stati Uniti e in Canada, gli unici Paesi che consentono l’accesso alla surrogata per le coppie dello stesso sesso) grazie alla maternità surrogata, i giudici hanno stabilito che l’ordinamento giuridico italiano deve garantire piena tutela all’interesse del minore al riconoscimento da parte di entrambi i componenti della coppia che ne hanno voluto la nascita e che lo hanno poi accudito, esercitando di fatto la responsabilità genitoriale. Nella sentenza n. 33, depositata oggi (redattore Francesco Viganò), la Consulta ha sottolineato la necessità di un indifferibile intervento del legislatore, al fine di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore.

La vicenda oggetto del procedimento riguardava un bambino nato nel 2015 in Canada grazie a maternità surrogata. Cioè da una donna nel cui utero era stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo di cittadinanza italiana. Quest’ultimo si era sposato in Canada – con atto trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – con un altro uomo, anch’esso cittadino italiano, con il quale aveva condiviso il progetto genitoriale. In Canada il bambino era stato subito registrato come figlio di entrambi gli uomini, che poi hanno chiesto la trascrizione, cioè il riconoscimento, del suo atto di nascita anche in Italia (se il bambino fosse stato semplicemente adottato quella trascrizione sarebbe automatica). La Corte costituzionale, pur ribadendo che il divieto di ricorrere alla pratica della maternità surrogata risponde a una logica di tutela della dignità della donna e mira anche ad evitare i rischi di sfruttamento di quelle più disagiate, sancisce che si debbano comunque tutelare «migliori interessi» dei bambini nati grazie alla maternità surrogata nei loro rapporti con la coppia (omosessuale o eterosessuale) che abbia condiviso il percorso che va dal loro concepimento, in un Paese in cui la maternità surrogata è lecita, fino al suo trasferimento in Italia, dove la coppia si è presa quotidianamente cura del bambino.

(fonte Corriere apre una nuova finestra ).